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05 Apr 2023

La contrapposizione “turismo culturale VS emergenza climatica”

Una conversazione con Martha Friel, docente in economia e gestione aziendale all’Università IULM di Milano e appassionata ricercatrice in musica, teatro, arte ed eventi culturali correlati a viaggi e vacanze.

Martha Friel è intervenuta nell’inedito seminario “Climate-sensitive Management” per operatori economici e amministratori pubblici, ideato dal nostro Studio durante l’ultima edizione di #BTM (qui l’articolo con il programma www.giaccardiassociati.it/2023/02/28/climate-sensitive-management/), apportando un’originale riflessione a proposito di turismo culturale ed emergenza climatica (qui le sue slide in download) e su cui avviene questa nostra conversazione.
Si conclude così la nostra trilogia di novità sull’evento #BTM, Bari 1-3 marzo 2023, dopo i precedenti confronti con Chiara Mocenni (“La ricerca sul turismo in Italia, a che punto siamo”), matematica, docente e ricercatrice in teoria dei giochi all’Università di Siena, e con Rodolfo Baggio (“Adattamento climatico e turismo, la sfida del secolo”), l’astrofisico prestato al turismo, docente e ricercatore in cultura e strategie digitale all’Università Bocconi.
Martha, bocconiana con un PhD in Economia della Comunicazione, da molti anni insegna management del turismo culturale all’Università IULM di Milano e fa parte anche lei del Comitato Scientifico #BTM. È inoltre citata nella ricerca “Le 120 donne del Turismo e del Mice da seguire online” pubblicata di recente dal magazine online www.qualitytravel.it diretto da Domenico Palladino.
Da ricordare che schematicamente il sistema cultura in Italia è fatto di

  • 292 musei aperti al pubblico, in media uno ogni 100 km2 e uno ogni 14.000 abitanti (ISTAT 2022)
  • oltre 130 mila eventi culturali di teatro, musica, mostre, etc. (SIAE 2022)
  • un patrimonio nell’insieme stimato in valore per oltre 900 miliardi di euro (PwC 2022).

Martha è giusto dire che cultura e turismo culturale siano in netta contrapposizione all’emergenza climatica?

In un certo senso sì perché sempre più studi di settore stanno evidenziando le perdite e i danni inflitti al patrimonio culturale dal cambiamento climatico, sia direttamente, con danni che si manifestano in modo progressivo e graduale, sia indirettamente con eventi improvvisi quali incendi, alluvioni ecc.
Tali eventi negativi, oltre a minacciare o addirittura colpire le persone – siano esse cittadini residenti oppure ospiti – mettono a rischio non solo il patrimonio tangibile, per il quale le minacce in un certo senso sono più visibili, ma anche quello immateriale (penso per esempio ad alcune pratiche tradizionali che si basano sull’uso di specifiche risorse e materie prime), che è più fragile e delicato.
Inoltre, molti dei beni culturali a rischio spesso sono anche attrattori turistici: la loro scomparsa, il loro deterioramento oppure il peggioramento delle condizioni climatiche in cui questi si trovano, oltre a rappresentare di per sé una perdita e un problema, può anche cambiare le rotte del turismo culturale come lo conosciamo oggi. Le mutate condizioni di fruibilità pongono nuove sfide in termini di conservazione, di strategie di valorizzazione e di gestione dei flussi.
Quando si parla di cambiamento climatico e settore culturale, quindi, la riflessione dovrebbe riguardare almeno tre livelli: l’impatto del cambiamento climatico sul patrimonio culturale, con le sue conseguenze e le strategie di protezione da mettere in atto; il ruolo che le arti, la cultura e il patrimonio possono avere nel guidare l’azione per il clima; lo sviluppo di pratiche di produzione artistica e di comunicazione culturale climate sensitive.

In che modo si possono affrontare le sfide generate dell’emergenza climatica?

Penso che il mondo della cultura abbia un grande potenziale per guidare l’azione per il clima (in alcuni paesi come l’UK, ma anche molti paesi del centro e nord Europa, c’è oggi piena consapevolezza su ciò).
Mostre, esposizioni, eventi culturali, festival, attività di ricerca delle istituzioni culturali possono promuovere consapevolezza sugli effetti dei cambiamenti climatici, e la cultura è in grado di costruire e tenere coese le comunità, quindi anche nell’azione collettiva sul cambiamento climatico.
Inoltre, il sistema culturale è luogo di innovazione per lo sviluppo di pratiche di produzione e comunicazione artistica climate-sensitive. Per esempio, nell’uso di materiali innovativi, nel riuso degli allestimenti, nell’organizzazione di eventi a basso consumo energetico, nell’utilizzo consapevole delle strategie di digitalizzazione. Già oggi sono previsti criteri ambientali minimi per gli eventi culturali finanziati, promossi o organizzati da enti pubblici, e anche i privati che sponsorizzano eventi e luoghi della cultura sono sempre più attenti all’impatto ambientale generato dalle loro controparti.
Tutto ciò anche nella consapevolezza dei limiti oggettivi imposti all’azione dei singoli e della necessità di operare per strategie allargate e integrate tra operatori e istituzioni: molte produzioni e manifestazioni culturali di grande interesse turistico hanno un impatto ambientale che va ben oltre la produzione stessa e che riguarda lo spostamento delle persone e i loro consumi sui territori.
In breve, molti fronti restano aperti. E non abbiamo poi nemmeno incluso in questo nostro ragionamento il ruolo delle imprese culturali e creative…

Tu che sei economista, cosa limita l’azione di queste imprese e quali opportunità intravvedi?

I limiti sono molto chiari, tra questi la mancanza di strumenti di valutazione di impatto davvero condivisi dal settore e la conseguente difficoltà nel definire modalità di intervento mirate, insieme con l’assenza di un mandato legale del mondo della cultura a occuparsi di questi temi. Infine, la poca formazione e il fabbisogno di nuove competenze tecniche per intervenire nella complessa e imprevedibile contrapposizione “turismo culturale VS emergenza climatica”. Ma le cose stanno cambiando.
Viceversa, in termini di opportunità, penso si possa creare una consapevolezza diversa sul grande patrimonio culturale del Paese e nei territori.
Per generare questa consapevolezza diversa servono però nuove policy e risorse allo scopo di:

  • modificare/ripensare la stagionalità dei flussi
  • innovare le modalità di accoglienza e di informazione dei turisti
  • innovare le modalità di visita di siti e luoghi di interesse culturale
  • innovare le pratiche di gestione
  • creare progetti intersettoriali sia tra diversi settori culturali e creativi ma anche per esempio con l’heritage science.

Il tutto in stretto dialogo con altri ambiti del policy making, penso per esempio ai trasporti, all’energia, all’urbanistica. Va detto che il “fattore tempo” è stringente: abbiamo poco tempo sia per contrastare l’emergenza climatica, e sia per definire e mettere in atto strategie e soluzioni climate-sensitive.
Concordo con Rodolfo Baggio quando sostiene che siamo di fronte alla sfida del secolo, come affermato nella vostra precedente conversazione (www.giaccardiassociati.it/2023/03/29/adattamento-climatico-e-turismo-la-sfida-del-secolo).

Beppe Giaccardi