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11 Mar 2010

Sviluppo 2.0. Uscire dal tunnel della crisi? Dipende da ciascuno di noi.

Questa assenza di progettualità, confronto e trasparenza è lo svantaggio più oneroso e pesante per i soggetti orientati al mercato, perché non coinvolge e prevarica procurando ulteriori errori ed inefficienze il cui prezzo diretto o indiretto è sempre a carico degli esclusi.
(Seconda parte)
Nonostante un contesto reso molto difficile dagli effetti della crisi dei subprime esplosa a metà 2008, non ci si accanisce pubblicamente a discutere di idee di futuro, di proposte di rilancio, di scelte per la ripresa, così come nessun soggetto che faccia parte della cosiddetta “classe dirigente” si mette in discussione o rivede umilmente posizioni ed errori che con tutta evidenza sono stati commessi, seppure in buona fede.Per la stessa resistenza frapposta al riconoscere quegli sbagli, non sono promossi luoghi fisici o virtuali nei quali il confronto focalizzi le esigenze degli operatori economici rendendoli partecipi di fattori decisionali sostanziali. All’opposto, sembra prevalere una delega senza vincoli ai soggetti ufficiali della concertazione, in modalità distanti e dissociate da bisogni, esperienze e conoscenze dei vissuti di imprese e di mercato, quanto da qualsiasi utile verifica di pubblico interesse.
Questa assenza di progettualità, confronto e trasparenza è lo svantaggio più oneroso e pesante per i soggetti orientati al mercato, perché non coinvolge e prevarica procurando ulteriori errori ed inefficienze il cui prezzo diretto o indiretto è sempre a carico degli esclusi. E’ inoltre concausa dell’incertezza anche per l’inconsistenza di un ragionamento necessariamente condiviso di analisi strategica. E’ in pratica un nega-modello che alimenta la cultura della sfiducia per via della mancanza di qualunque azione di ascolto esteso e strutturato, rappresentativo e significativo, degli operatori economici e dei cittadini.
In ragione di questo contesto, ciascun soggetto imprenditoriale fa i conti con alcune domande fondamentali, le cui risposte sono ormai pregiudiziali all’efficacia stessa dei provvedimenti più immediati o degli interventi attesi a medio termine:
– Che paese/regione/territorio vogliamo essere tra dieci o vent’anni? In quale modo, con quali risorse e partner?
– Come e con chi possiamo produrre innovazione continuativa e fare del cambiamento duraturo in cui siamo immersi un’opportunità anziché una minaccia?
– Perché e in che modo ridare senso all’impegno imprenditoriale? Come tornare a favorire neo impresa innovativa e costruire nuovi scenari e occasioni per giovani e donne?
– Quali modifiche prioritarie sono necessarie alle politiche fiscali, dell’education, del welfare o del turismo per rilanciare l’azione d’impresa e l’economia del territorio? E in particolare come orientare un’offerta formativa più corrispondente all’evoluzione delle sfide economiche?
– E analogamente, quali scelte strategiche e di governance vanno fatte per ridare efficienza, redditività e utilità territoriale alle maggiori infrastrutture di cui dispone il territorio (per esempio
– porto di Ravenna, aeroporti di Forlì e di Rimini), anche per generare tramite tali scelte nuove risorse che ne sostengano la modernizzazione?
– In che modo ricostruire spirito d’iniziativa individuale e allo stesso tempo spirito di comunità interindipendente che, nel tempo, possono essere le maggiori garanzie anticliche di un sistema territoriale competitivo?
– E infine, visto che le scelte di rilancio economico e sociale dei maggiori paesi del mondo ha intrapreso in modo deciso la direzione di marcia della combinazione tra internet e nuove tecnologie sostenibili, quali policy pubbliche e private diventano necessarie per essere parte del “nuovo mondo” o della cosiddetta “economia del web”?
Come in una sorta di Paese delle Meraviglie, Alice alias i sistemi economici territoriali possono rispondere a questi interrogativi e al bisogno di uscire dal tunnel della crisi se si concentrano sulle spinte dal basso e sulla forza del web. Imprese e persone sono infatti soggetti di rete e in quanto tali depositari di esperienze uniche e conoscenze interconnesse. Aumentando partecipazione e condivisione, il processo di intelligenza collettiva che ne deriva spinge analisi e confronto oltre il tunnel della crisi della vecchia economia top-down e permette di anticipare idee e risposte nei confronti dell’unica certezza per ora disponibile, la continuità delle turbolenze.
Servono pertanto progetti, programmi e iniziative di “Sviluppo 2.0” perché solo così vengono eliminati i vecchi “steccati”. Solo così vengono costruiti “ponti” di confronto in grado di unire esperienze diverse e “piattaforme” reali e virtuali capaci di migliorare collaborazione, visione e senso di appartenenza in un contesto necessariamente plurale e glocale
Giuseppe Giaccardi
(parte due)
Nonostante un contesto reso molto difficile dagli effetti della crisi dei subprime esplosa a metà 2008, non ci si accanisce pubblicamente a discutere di idee di futuro, di proposte di rilancio, di scelte per la ripresa, così come nessun soggetto che faccia parte della cosiddetta “classe dirigente” si mette in discussione o rivede umilmente posizioni ed errori che con tutta evidenza sono stati commessi, seppure in buona fede. Per la stessa resistenza frapposta al riconoscere quegli sbagli, non sono promossi luoghi fisici o virtuali nei quali il confronto focalizzi le esigenze degli operatori economici rendendoli partecipi di fattori decisionali sostanziali. All’opposto, sembra prevalere una delega senza vincoli ai soggetti ufficiali della concertazione, in modalità distanti e dissociate da bisogni, esperienze e conoscenze dei vissuti di imprese e di mercato, quanto da qualsiasi utile verifica di pubblico interesse.
Questa assenza di progettualità, confronto e trasparenza è lo svantaggio più oneroso e pesante per i soggetti orientati al mercato, perché non coinvolge e prevarica procurando ulteriori errori ed inefficienze il cui prezzo diretto o indiretto è sempre a carico degli esclusi. E’ inoltre concausa dell’incertezza anche per l’inconsistenza di un ragionamento necessariamente condiviso di analisi strategica. E’ in pratica un nega-modello che alimenta la cultura della sfiducia per via della mancanza di qualunque azione di ascolto esteso e strutturato, rappresentativo e significativo, degli operatori economici e dei cittadini.
In ragione di questo contesto, ciascun soggetto imprenditoriale fa i conti con alcune domande fondamentali, le cui risposte sono ormai pregiudiziali all’efficacia stessa dei provvedimenti più immediati o degli interventi attesi a medio termine:
– Che paese/regione/territorio vogliamo essere tra dieci o vent’anni? In quale modo, con quali risorse e partner?
– Come e con chi possiamo produrre innovazione continuativa e fare del cambiamento duraturo in cui siamo immersi un’opportunità anziché una minaccia?
– Perché e in che modo ridare senso all’impegno imprenditoriale? Come tornare a favorire neo impresa innovativa e costruire nuovi scenari e occasioni per giovani e donne?
– Quali modifiche prioritarie sono necessarie alle politiche fiscali, dell’education, del welfare o del turismo per rilanciare l’azione d’impresa e l’economia del territorio? E in particolare come orientare un’offerta formativa più corrispondente all’evoluzione delle sfide economiche?
– E analogamente, quali scelte strategiche e di governance vanno fatte per ridare efficienza, redditività e utilità territoriale alle maggiori infrastrutture di cui dispone il territorio (per esempio
– porto di Ravenna, aeroporti di Forlì e di Rimini), anche per generare tramite tali scelte nuove risorse che ne sostengano la modernizzazione?
– In che modo ricostruire spirito d’iniziativa individuale e allo stesso tempo spirito di comunità interindipendente che, nel tempo, possono essere le maggiori garanzie anticliche di un sistema territoriale competitivo?
– E infine, visto che le scelte di rilancio economico e sociale dei maggiori paesi del mondo ha intrapreso in modo deciso la direzione di marcia della combinazione tra internet e nuove tecnologie sostenibili, quali policy pubbliche e private diventano necessarie per essere parte del “nuovo mondo” o della cosiddetta “economia del web”?
Come in una sorta di Paese delle Meraviglie, Alice alias i sistemi economici territoriali possono rispondere a questi interrogativi e al bisogno di uscire dal tunnel della crisi se si concentrano sulle spinte dal basso e sulla forza del web. Imprese e persone sono infatti soggetti di rete e in quanto tali depositari di esperienze uniche e conoscenze interconnesse. Aumentando partecipazione e condivisione, il processo di intelligenza collettiva che ne deriva spinge analisi e confronto oltre il tunnel della crisi della vecchia economia top-down e permette di anticipare idee e risposte nei confronti dell’unica certezza per ora disponibile, la continuità delle turbolenze.
Servono pertanto progetti, programmi e iniziative di “Sviluppo 2.0” perché solo così vengono eliminati i vecchi “steccati”. Solo così vengono costruiti “ponti” di confronto in grado di unire esperienze diverse e “piattaforme” reali e virtuali capaci di migliorare collaborazione, visione e senso di appartenenza in un contesto necessariamente plurale e glocale.
Giuseppe Giaccardi
Redazione
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